Inflitti otto mesi di reclusione, pena sospesa, per essersi fatto consegnare dalla moglie di un detenuto trentasei scatole di caffè. La condanna nei confronti di un cinquantaquattrenne di Canicattì, assistente capo della polizia penitenziaria, diventa definitiva con la pronuncia della Cassazione.
L’assistente capo era finito a processo con l’accusa di abuso d’ufficio e, in particolare, perché “nello svolgimento delle sue funzioni si era fatto consegnare da un detenuto, per il tramite della moglie, 36 scatole di 100 capsule di caffè, procurando a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale”.
In primo grado l’assistente capo agrigentino era stato assolto “perché il fatto non sussiste” dal Gup del tribunale di Gela. La sentenza era stata impugnata dalla Procura generale di Caltanissetta. La Corte di Appello di Caltanissetta, nel marzo dello scorso anno, ha così ribaltato la sentenza di primo grado condannando ad un anno di reclusione l’assistente capo.
Adesso il caso è approdato in Cassazione che ha annullato, senza rinvio, la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta rideterminando la pena in otto mesi di reclusione.
Commenta articolo